Tutti a ricordare il terremoto dell’Aquila, ma la città non esiste più
Berlusconi ebbe l’intuizione geniale di trasportare il G8 lì dove si tenne la tragedia, i nostri più brillanti imprenditori sulle macerie di una città colpita a morte hanno cominciato ad aleggiare come avvoltoi pronti ad addentare l’affare ghiotto di Aquila 2, una sorta di città fantasma accanto al vecchio capoluogo, una città che a distanza di anni inizia a mostrare già i primi segni della speculazione edilizia, mentre la città vecchia muore, assieme al ricordo dello scempio fatto.
Scempio che gli aquilani non perdonano e non dimenticano, mentre l’Italia intera si fermò per far arrivare volontari in massa per cercare di risollevare dalla polvere e dalle macerie una città dove le 99 fontane non torneranno più a scorrere, dove gli artisti italiani hanno prodotto una canzone per cercare di aiutare le ferite de L’Aquila a rimarginarsi.
Ma L’Aquila è diventata il simbolo degli allarmi di Giampaolo Giuliani, inascoltati in Italia ma apprezzati dagli USA o in Giappone dove ha fornito strumenti interessanti proprio prima del terribile tsunami del 2011, ed ora, tornato in Italia, continua a monitorare la zona con i suoi strumenti e lancia i suoi dati online da un sito e da due profili Facebook e Twitter.
L’Aquila è anche il simbolo di quel giornalismo becero che ha assaltato i terremotati nel pieno della tragedia, diventando da cronisti iene assetate di emozioni forti, da spalmare senza alcun ritegno. Per loro, per le vittime di questo terremoto e per ricordare cosa è stato il terremoto de L’Aquila, proponiamo Draquila, il documentario che ha fotografato al meglio quanto accadde da quella notte del 6 aprile 2009.
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