Una notizia così grave da dover essere coperta dal frastuono mediatico

Dopo settimane di diretta quasi costante sulle vicissitudini della politica italiana, tutto si è cristallizzato, come accade da vent’anni ormai, su Berlusconi, i suoi processi e tutta la solita storia. Il circo mediatico italiano si è intruppato ed ha iniziato a suonare la solita musica, chi lo ama lo difende in tutte le sedi, chi lo odia spara titoloni di sputtanamento e biasimo. Un frastuono più forte del solito però che ci ha messo in allarme, fino a quando da Torino arriva una notizia che spiega tutto, di una gravità inaudita e per questo, sommersa da inutile starnazzare.

La colpa di tutto questo? Non è certo di alcuni giornalisti come Guido Rotolo che ha scritto l’articolo, o del suo giornale, La Stampa, palestra di giornalismo. Colpa dell’editore? Si scrive quello che serve per campare, in nome del pluralismo magari certe notizie hanno spazio diverso, ma insomma, se proprio vogliamo andare a cacciare un colpevole, non dobbiamo che rivolgerci a noi stessi e alla nostra insaziabile voglia di dettagli, inutili, su fatti già noti. Se noi chiedessimo con forza maggiore qualità nelle informazioni piegheremmo il mercato a nostro favore e avremmo accesso a molte più informazioni di quante non ne arrivino ora al grande pubblico.

Ma ahimé, per ristabilire un giusto ordine alle cose, non indugiamo oltre ed andiamo al nocciolo della questione. Il numero 2 dei servizi segreti italiani era un referente di spicco della Camorra. Franco La Motta, fino a pochi giorni fa era ai vertici dell’Aisi ed alcune telefonate intercettate dalla Procura di Napoli lo inchiodano e dimostrano come chi dovrebbe lavorare per la sicurezza dello Stato collaborava con chi lo Stato, lo combatte.

La vicenda riguarda una banca in cui sono transitati soldi della Camorra e soldi provenienti dal Ministero dell’Interno, fondi che però sono spariti. Le cose sono due: o i pm hanno mandato a gambe all’aria una complessa indagine di intelligence volta a rintracciare dove finissero i capitali camorristici segnando le banconote per poi, seguendo il flusso di denaro, risalire ai latitanti ed ai capoclan, oppure, Franco La Motta è stato letteralmente beccato con le mani in pasta, di grosso taglio, possibilmente bianca e proveniente dal Sud America.

Franco La Motta era fino ad aprile non solo il numero 2 dell’Aisi, ma anche il numero uno al Viminale del FEC, il Fondo Edifici di Culto, nella più classica e straordinariamente palese connessione tra vertici dei servizi segreti, malavita organizzata e…Vaticano. Andato in pensione, Franco La Motta rimane nell’Aisi come “consulente” ed investe una ingente somma del Ministero dell’Interno nella Hottinger, in Svizzera. Il ministro Annamaria Cancellieri gli invia una nota per il buco da 10 milioni di euro che faranno un giro per il mondo, verso la Projeckty Investice s.r.o. utilizzando una banca sul territorio della Repubblica Ceca, successivamente nel Regno Unito, apparentemente ad una società denominata Willbest Ltd. ed, infine, su un conto aperto presso un istituto bancario elvetico. Di quella cifra iniziale,  7 milioni e 200 mila euro sono il provento del clan per la realizzazione di un centro commerciale IPERCOOP a Quarto.

Tutto qui? E no, perché se ricordate, nel 2012 per fare cassa si parlava anche di vendere le strutture militari abbandonate dallo Stato e grazie ad un pentito, tale Perrone, viene fuori che già nel 2007,  lui e  altri imprenditori camorristi volevano acquistare una caserma, che era l’arsenale dismesso della Marina Militare di La Spezia, nella zona delle Cinque Terre per poi costruire una catena di alberghi di lusso.

Sorpresi? Non dovreste. Le connessioni tra alti livelli di potere sono meno “sottili” di quanto si possa credere. Ecco un’ulteriore testimonianza di Vincenzo Calcara, pentito di mafia durante un congresso di un’associazione antiracket nel trapanese, nella terra di Matteo Messina Denaro, alla presenza del pm Ingroia: