Standard & Poor’s suona la sveglia, mentre da Trani non arrivano novitÃ
Dopo tanto tempo ed il congelamento per un lungo periodo del giudizio di rating da parte delle agenzie americane specializzate, arriva la tanto temuta mazzata che porta l’Italia a due gradini dal baratro. Il taglio di rating di ieri ci porta molto vicini al giudizio dei nostri titoli di Stato a spazzatura, carta straccia che non vale nulla e su cui il rischio di investire è troppo elevato per poter solo pensare di investire liquidità sullo Stato Italiano. Tramite i titoli di Stato l’Italia finanzia le sue spese più grosse, dal sistema sanitario fino agli stipendi e tutto ciò che serve per il corretto funzionamento della macchina statale. L’outlook negativo indica come Standard & Poor’s stia avvertendo gli investitori: la situazione italiana è destinata a peggiorare ulteriormente e noi da ieri siamo letteralmente a due passi dal baratro.
Sotto il governo Monti il downgrade dell’Italia era stato più morbido ma a fronte di un crescente debito pubblico, di un’inarrestabile crescita della disoccupazione e della mancanza di un segno positivo negli indicatori macro-economici italiani, gli specialisti del rischio hanno decretato il loro verdetto. Mancano ancora due passi, due salti nel buio e l’Italia diventa a pieno titolo un paese inaffidabile come lo è stato la Grecia, impossibilitato ad investire per il corretto funzionamento degli ingranaggi della Repubblica.
E proprio in Italia è iniziata quell’indagine che dovrebbe inchiodare Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch di fronte all’accusa di abuso di informazioni privilegiate, trascinando 7 responsabili italiani a giudizio. Quell’indagine formalmente si è chiusa l’estate scorsa e si è limitata alle sezioni italiane delle agenzie di rating.
C’è anche un altro aspetto che dovrebbe suonare come una di quelle vecchie sveglie, odiose e molto difficili da spegnere, per chi si occupa di politica oggi. In un recente rapporto di JP Morgan, attenzionato anche dai dirigenti delle 3 sorelle del rating, si parla apertamente dell’ultimo ostacolo al totale dominio dell’economia finanziaria, ovvero quelle odiose strutture di welfare, fatte di sanità pubblica, cassa integrazione, salario minimo lì dove esiste, considerate come retaggio di un mondo vecchio e che oggi ostacola il libero mercato perché cerca di frenarlo.
Un documento passato velocemente sui tavoli dell’alta finanza e passato quasi del tutto inosservato non solo dalla stampa, ma anche da chi si occupa di tutela del lavoro. Di fronte a questa brusca sveglia, i sogni di taglio delle tasse, di crescita e sviluppo, potrebbero subire un altro, doloroso stop. Come continuare a palleggiare la questione del costo degli F35 (aerei inefficienti, secondo i vertici del Pentagono), cancellazione dell’IMU e blocco dell’IVA al 21%, se sui mercati i titoli di Stato non solo diventano difficili da piazzare, ma da strumento di respiro si trasformano nel cappio che strozza definitivamente l’Italia?
Il possibile allontanamento di Berlusconi dalla politica attiva continuerà ad aleggiare sulle nostre teste fino ai primi giorni di agosto, quando ci saranno le reazioni alla decisione presa il prossimo 30 luglio, ma complice la stagione estiva, nessuno tranne Saccomanni sembra vedere su quale baratro stiamo per avvicinarci.
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