Recensione film: Captive

Un film di Brillante Mendosa, il quale si discosta totalmente dalle sue precedenti opere e dal suo stile di ripresa, in favore di un esperimento mai tentato. Il Dramma da lui raccontato, tratto da una storia vera, ha avuto varie location (Filippine, Gran Bretagna, Francia e Germania) e vanta un cast corposo ed eterogeneo.

Siamo appena a maggio del 2001. Uno dei gruppi terroristici mussulmani di Abu Sayyaf rapisce 15 persone che alloggiano nell’hotel di una delle isole dell’arcipelago filippino con l’intento di farli prigionieri e di chiedere un riscatto ai paesi di provenienza delle vittime. Per i poveri sequestrati, comincerà un vero e proprio inferno. Infatti, per evitare di essere rintracciati, i loro rapitori li costringeranno a spostarsi giornalmente a piedi, forzandoli a percorrere enormi distanze in pochissimo tempo.

Inoltre, i paesi coinvolti nella vicenda faranno arenare le trattative per molteplici motivi, per lo più legati alla politica dei governi che non accettano di scendere a patti con i terroristi. Tutto ciò, porterà i 15 sfortunati a rimanere in mano ai mussulmani di Abu Sayyaf per un anno intero, nella giungla filippina finché, finalmente, l’esercito riuscirà a trovarli e liberarli.

Quest’opera è stata da molti definita un Action Movie “involontario”. Mendosa è sempre stato famoso per le sue ideologie e il suo rapporto molto stretto con la filosofia che traspare in ogni lavoro antecedente a Captive. Quest’ultimo film, invece, si presenta con schemi troppo semplicistici, che lasciano spazio a veramente poche riflessioni di fondo.

Forse, nel rappresentare l’inferno vissuto realmente da queste persone, ha preferito lasciare posto alla cruda tragedia di chi è costretto a scappare ogni giorno senza sosta, non lasciandosi nemmeno il tempo di riflettere su ciò che sta accadendo. Non c’era proprio spazio per la filosofia e le riflessioni in un film del genere.