Recensione film: Educazione siberiana
Un intenso lavoro diretto da Gabriele Salvadores, il quale propone al pubblico delle grandi sale un dramma prettamente sovietico. Kolima e Gagarin sono grandi amici già alla loro tenera età e sono accomunati da una vita piuttosto particolare. I due giovanissimi protagonisti, infatti, abitano in una città molto pericolosa nel sud della Russia, che è diventata ricettacolo dei peggiori banditi. Essi vivono all’ombra del loro clan di appartenenza, rispettando il codice d’onore e ricevendo un’educazione molto particolare. A loro, sin da piccoli, viene insegnata la nobile arte del combattimento, sia armato che a mani nude. Sono addestrati a commettere furti e rapine di ogni genere per poter sopravvivere in un ambiente ostile come quello in cui sono stati gettati alla nascita e, inoltre, a alto l’onore del clan.
Tuttavia, gli anni passano e, senza neanche accorgersene, Kolime a Gagarin diventano dei giovani uomini in balia dei pruriti, delle passioni e della voglia di libertà che solo la giovinezza può regalare. Vogliono il mondo ai loro piedi e faranno di tutto per raggiungere il loro scopo. Anche, forse, andare contro i precetti del loro stesso clan.
Questo film costituisce lo specchio di una realtà del passato che, ancora oggi, è fortemente vissuta in Siberia. I “criminali onesti”, o come amavano definirsi coloro i quali venivano plasmati nel corpo e nella mente dalla malavita della Russia del Sud, si si definivano tali poiché, all’interno della loro “società”, rispettavano un prezioso codice d’onore che non s’azzardavano a tradire.
L’opera è tratta dall’omonimo romanzo “Educazione Siberiana” di Nicolai Lilin, che racconta come ha vissuto gran parte della sua giovinezza all’interno di una di queste “famiglie” e calato in una realtà talmente diversa dal viver comune da sembrare quasi un sogno ad occhi aperti.
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