Recensione Film: Killer Joe
Ultimo capolavoro del celeberrimo William Friedkin (famoso già per “L’Esorcista” e “Il Braccio Violento della Legge”). Un’opera in cui tecnica ed esperienza raggiungono livelli altissimi, a cui solo un regista della sua esperienza può arrivare.
Chris, giovane spacciatore fallito, si mette nei guai con i suoi fornitori a causa della sparizione di un grosso quantitativo di droga del valore di seimila dollari a lui affidato. Il giovane incolpa la madre, la quale aveva già in precedenza buttato fuori casa il figlio per via della sua condotta di vita, da lei considerata inconcludente e meschina. Così il ragazzo, raggiunto un accordo col padre e ottenuta l’approvazione anche della sorella minore Dottie, decide ignobilmente e vigliaccamente di assoldare un killer che possa uccidere la madre e permettergli di riscuotere i soldi dell’assicurazione sulla vita della donna di cui, per legge, solo la ragazzina può beneficiare. L’assassino ingaggiato si chiama Joe Cooper. Egli è un poliziotto sadico e crudele che, per arrotondare lo stipendio, ammazza su commissione. Data la precaria situazione economica di Chris e del padre, il killer rinuncia al pagamento anticipato in cambio dei favori sessuali della giovane Dottie. Dapprima, nessuno ha il coraggio di negare a Joe tali favori. Tuttavia, arrivato il momento dell’incasso della polizza, cominceranno i veri guai.
Nonostante i suoi settantasei anni d’età , Friedkin dimostra di non aver perduto lo smalto di un tempo fondendo talento ad esperienza in un film destinato a rivoluzionare il genere da esso incarnato. Si tratta di un noir molto crudo, in cui l’ormai eccessivamente esasperata “reazione a catena”, data dalla violenza che genera altra violenza, viene riproposta in nuove forme più introspettive e perverse. Questo lavoro, rivisitazione dell’opera teatrale scritta da Tracy Letts nel 1993, evidenzia la totale perdita di morale del popolo, che si trova costretto a mettere da parte etica e sani principi a causa di una società marcia e decadente. Chris rispecchia perfettamente questa perdita forzata, e viene inserito in un contesto privo di vincitori o perdenti, di eroi o di malvagi, di carnefici o di vittime, in cui è mostrata una realtà oggettiva, non a caso evidenziata dal regista: la morte interiore dell’individuo che soccombe alle avversità del mondo che lo circonda.
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