Ancora perdite dalla centrale di Fukushima, ma il governo insiste per il ritorno al nucleare
Nonostante si fosse in piena guerra fredda, i sovietici su Chernobyl fornirono molte più informazioni di quanto la giapponese Tepco non abbia fatto con il governo ed i cittadini. La triste realtà diventa ancora più drammatica ora che l’ennesima fuoriuscita di materiale radioattivo, dopo il disastro del 2011, ha costretto i tecnici ad allagare l’impianto e la falla potrebbe portare il liquido radioattivo direttamente in mare, peggiorando ulteriormente le condizioni ambientali di una zona che dovrebbe essere inadatta alla vita per migliaia di anni, ma da cui persone e merci continuano a passare con il bene tacito del governo.
In realtà in Giappone un referendum popolare dovrebbe decidere la chiusura entro il 2040 delle 54 centrali nucleari presenti sul territorio, ma la crisi economica ha costretto il nuovo governo di centrodestra a puntare fortemente sul nucleare civile, in assenza di investimenti verso fonti alternative in grado di assicurare la quantità di energia necessaria a mantenere in funzione il paese nipponico.
Il legame che lega la Tepco a doppia mandata con il governo non è stato scalfito dal disastro tsnuami-crisi nucleare, anzi, alla società privata è andato il braccio di ferro sul pagamento dei danni arrecati alla regione attorno Fukushima, mentre nessun passo in avanti è stato fatto per riammodernare gli impianti. A mandare in crisi l’intero impianto di raffreddamento della centrale, è bastato un topo che ha ingolfato le tubature responsabili della tenuta in sicurezza della centrale. Troppo poco per una struttura con un così alto grado di rischio, eccessivamente troppo per una centrale molto vecchia che andrebbe dismessa al più presto.
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