La tensione sale, da Terni agli stabilimenti Indesit
Un colpo di ombrello, da parte di un manifestante. Questa la prima risposta del Ministero dell’Interno capitanato da Angelino Alfano al sindaco di Terni, manganellato ieri mentre cercava di calmare i manifestanti del gruppo Thyssen presto licenziati dalla multinazionale finlandese che li ha acquisiti. Negare, negare la realtà a tutti i costi, come accaduto ieri nel caso di Stefano Cucchi, lasciato morire secondo i giudici dai medici, non certo pestato a morte dalle forze dell’ordine e lasciato morire dagli infermieri del carcere.
La tensione è in salita, lo avevamo annunciato già a maggio e toccherà un primo picco già a giugno, con una serie di problemi sociali che incepperanno il lavoro del governo. Un primo assaggio lo si ha avuto ieri. A Terni, il sindaco dopo essere stato colpito ha ricevuto la solidarietà dei lavoratori, dei sindacati e della Questura. Un segnale chiaro di quanto le istituzioni centrali saranno messe a dura prova, sconfessate da chi opera ogni giorno sul territorio ed ha il compito di reggere la forza d’urto della rabbia sociale.
Non passerà molto tempo affinché in Italia si vedano agenti manganellare vigili del fuoco, come accaduto in Spagna. Da Roma i segnali parlano di una condotta ferma e decisa nel fermare le possibili escalation di violenza, ma tentare solo di reprimere la rabbia sociale, può facilmente portare ad un morto che le piazze italiane non vedono da 12 anni. Il momento è delicato, un errore di valutazione salderebbe in un lampo tutte le componenti già in fermento e trasformerebbero l’Italia in una polveriera che non avrebbe nulla da invidiare alla Turchia di quest’ultima settimana.
La siderurgia in Europa si avvia alla chiusura, l’accanimento terapeutico nei confronti dell’ILVA o delle altre aziende può solo portare a pre-pensionamenti e licenziamenti più o meno selvaggi, il mercato mondiale si è evoluto e ha già spostato la produzione verso altri paesi. Come nel caso dell’Indesit, dove la produzione “classica” di elettrodomestici viene portata all’estero ed in Italia rimane solo la produzione ad alta tecnologia, come già accade negli USA, usciti dalla crisi.
Le aziende avrebbero dovuto procedere negli ultimi 15 anni ad uno smaltimento “soft”, con una giusta dose di pre-pensionamenti e blocco delle assunzioni per poter evitare o ridurre l’impatto sociale degli spostamenti di produzione, ma tutto ciò non è avvenuto. Dopo ILVA, Thyssen, Indesit, la mazzata finale potrebbe arrivare in autunno con FIAT, ormai pronta a lasciare l’Italia, trasferendo la sede centrale altrove e lasciando in Italia lo stretto indispensabile. Alitalia sta per essere definitivamente distrutta, dopo l’intervento dei “capitani coraggiosi” , mentre Finmeccanica ed ENI sembrano poter resistere.
Il governo tiene in mano una bomba sociale da dover disinnescare, prima che sia troppo tardi.