Ucciso una seconda volta Stefano Cucchi, mentre ci si prepara al carabiniere di quartiere
Se un paziente muore, molto spesso la colpa viene imputata al medico, processabile nel caso in cui si sia rifiutato di prestare soccorso. Ma quando un giovane viene malmenato o pestato a sangue, solitamente in galera finiscono gli autori della violenza. Non in Italia, dove anche Amnesty International ha parlato di gravi violazioni dei diritti umani. Come chiamare altrimenti quello successo ieri al processo sul caso di Stefano Cucchi? L’effetto più grave si riversa sulle forze dell’ordine che escono con le ossa rotte dalla sentenza, una sentenza che da un colpo durissimo alla credibilità di chi può, in attesa di leggere le motivazioni della sentenza, liberamente decidere della vita e della morte di un cittadino italiano e non subire alcun procedimento, disciplinare e penale.
Due pesi, due misure, un’unica grande ingiustizia. Le lacrime della sorella di Stefano Cucchi racchiudono la rabbia della famiglia e di chi ha seguito questo grave caso di cronaca. La notizia arrivata ieri di un possibile nuovo disegno di legge promulgato dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano sotto consiglio di Silvio Berlusconi, lascia un’ulteriore dubbio.
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Dopo l’arrivo dell’esercito nelle strade di Milano per garantire la sicurezza, come capitava a Palermo durante la guerra di mafia, potrebbe arrivare una legge che porta i carabinieri di quartiere lungo tutte le strade italiane, magari portando militari in servizio attivo nelle caserme a pattugliare le periferie italiane.
Tutto in linea con quanto previsto dall’arrivo di una polizia unica europea come Eurogenderfor, in cui i componenti che ne fanno parte non possono essere perseguitati penalmente per atti compiuti durante lo svolgimento del regolare servizio. Dato che il servizio militare non è più obbligatorio e chi entra a far parte delle forze dell’ordine deve avere alcuni requisiti, speriamo vivamente che i controlli psicologici siano molto più serrati. Far parte delle forze dell’ordine non prevede soltanto camminare con un’arma nella fondina, ma dimostrare un certo autocontrollo e professionalità , spesso poco riconosciute dallo Stato.
Pestare a sangue e lasciare morire in carcere giovani dopo un fermo,  è un crimine da non lasciare impunito, come accaduto nel caso di Federico Aldovrandi o Gabriele Sandri, colpito da un proiettile sparato dall’altra carreggiata dell’autogrill della A1.
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