Recensione Film: Monsieur Lazhar

MONSIEUR LAZHAR: Quarto lungometraggio dell’ormai celebre regista canadese Philippe Falardeau il quale, contrariamente alle previsioni dei più riguardo ad un possibile cambio di rotta nello stile, non si lascia sfuggire neanche stavolta l’occasione di imprimere il suo inconfondibile marchio malinconico-riflessivo.

Bachir Lazhar, composto cinquantacinquenne algerino  richiedente asilo politico in Canada e con esperienze nel campo dell’insegnamento, trova lavoro come supplente presso una scuola elementare di Montreal. Presto viene a sapere che la precedente maestra della classe assegnatagli si è suicidata nella sua aula in solitudine, approfittando della pausa ricreativa e, nel corso del film, scoprirà che molti dei suoi nuovi alunni sono rimasti traumatizzati dalla perdita della loro insegnante. Il malinconico, pacato, ma non per questo arrendevole Bachir tenterà con tutte le sue forze, nonostante le evidenti differenze culturali che lo separano dai bambini (nonché da tutta la gente di Montreal), di riportare l’equilibrio e la serenità nella mente fin troppo turbata dei suoi nuovi allievi.

E’ un opera molto colorita, che mostra alcune delle più sottili sfumature interiori celate da emozioni troppo grandi perché esse si possano percepire, come (e gli alunni di Lazhar ne sono un evidente esempio) un terribile rimorso nascosto da un apparentemente inspiegabile comportamento aggressivo o un incolmabile vuoto interiore lasciato dalla scomparsa di una persona vicina che si cerca di colmare indossando una saccente maschera di perfezione e critica.   Malinconico, riflessivo ma piacevole, questo film si presta ad una visione tutt’altro che impegnativa per il grande pubblico. Il lungometraggio mette in evidenza una storia semplice, limpida e chiara che, tuttavia, non sfocia nella banalità. Da notare l’incredibile maestria con cui il regista abbia inserito molti spunti per diverse, mirate e possibili evoluzioni nello sviluppo della trama, affinché gli spettatori possano viaggiare con la fantasia e immaginare tutti i più probabili risvolti e come, infine, sia riuscito ad ignorare volutamente tutta questa “carne al fuoco”, donando all’opera un finale inaspettato e semplice, e comunque molto realistico e azzeccato. Azzeccatissima la scelta di assegnare all’attore sessantaduenne Fellag Mohamed il ruolo da protagonista. Egli, infatti, ha superato se stesso, regalando al cinema quella che verrà forse annotata nella storia come la sua migliore performance.