Progetto Fabbrica Italia, uno scatolo vuoto da buttare
La FIAT aveva la necessità di avere le mani libere da qualsiasi forma di controllo da parte di Confindustria e aveva creato Fabbrica Italia, una versione di FIAT con meno garanzie sindacali per i lavoratori con l’impegno di costruire un progetto industriale che mantenesse parte degli interessi della casa automobilistica torinese in Italia. Il prezzo da pagare era quello di limitare l’azione dei sindacati. Obiettivo raggiunto, ma dopo un anno di promesse, FIAT scopre le carte e si prepara a chiudere altre due storiche fabbriche italiane.
La fortissima contrazione delle vendite in Europa e la perdita di posizioni all’interno del mercato auto a favore delle case di costruzione automobilistiche francesi e tedesche rende sempre più necessario il trasporto delle attività produttive in Serbia ed in Polonia. Non solo, ma la costante crescita di Chrysler negli USA sta sempre più convincendo Sergio Marchionne a tagliare il ramo secco della produzione italiana. Dal punto di vista industriale il discorso è molto semplice, il problema è spiegare al governo italiano e alle migliaia di persone che lavorano in FIAT o nell’indotto come una delle più grandi aziende italiane quando chiudere cent’anni di storia. La globalizzazione ha le sue regole ed un’azienda come FIAT non può permettersi a lungo di mantenere aziende in perdita.
Il rischio concreto è che la FIOM, obiettivo principale dell’offensiva di Marchionne per avere le mani libere nella gestione di FIAT, possa saldare la sua protesta a quella degli altri sindacati confederati, in particolar modo di CISL e UIL, favorevoli agli accordi di Fabbrica Italia e che dovrà spiegare ai propri iscritti come mai hanno firmato un contratto peggiore di quello di un paio di anni fa con la prospettiva di un licenziamento causato da ristrutturazione aziendale. Lo sganciamento di FIAT dall’Italia lascerà lunghi strascichi politici che potrebbero ulteriormente aggravare l’allarme diffuso dal Ministero dell’Interno sui 5 milioni di persone pronte a protestare in piazza per la perdita del proprio posto di lavoro
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