Democrazia, Mangiafuoco e altri dettagli dal voto del Senato

Chi volete mandare al Senato, Gesù o Barabba? No, il paragone è troppo audace. Ok, attualizziamo. Chi volete mandare a rappresentare la seconda carica dello Stato, un onorevole indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, o l’ex capo della Procura Antimafia? Se anche voi pensate che la mafia non esista più, che si sono limitati a trasferire i soldi al nord e al limite brucino la Città della Scienza a Napoli, la scheda rimane bianca. Se invece da grillo parlante siete diventati Mangiafuoco, e dovete esibirvi sul palco della politica siete in grossi guai.

L’elezione della Boldrini, non tesserata ad alcun partito, eletta in quota SEL ma esponente di spicco tra le nostre teste pensanti italiane proveniente dalla società civile, è una scelta di rottura, a cui il Movimento Cinque Stelle, con timidezza, ha reso onore. Niente clamore, chi rompe il silenzio di camerata paga, ed i cocci, sono tutti suoi.

Al Senato invece, il ballottaggio tra Schifani e Grasso apre uno squarcio. Che segnale si vuole mandare all’Italia? Continuare con il passato, o fare di uno dei volti dell’antimafia la seconda carica dello Stato? La domanda andrebbe posta ad Antonio Ingroia, in campagna elettorale ha portato fuori da Palermo gli effetti di un conflitto interno alla Procura Antimafia dai tempi di Caselli. Di fronte ad una scelta del genere, come avrebbe reagito l’Ingroia, i Di Pietro, i De Magistris e tutti quei magistrati che hanno provato l’avventura politica per cambiare in meglio la politica da dentro?

Una risposta in tal senso potrebbe non arrivare, ma l’abbiamo avuta da Francesco Campanella e da altri senatori del Movimento Cinque Stelle, abituati a discutere, confrontarsi, compattarsi quando serve e soprattutto, governare quando serve. Un dipendente statale è pagato per lavorare, dai cittadini o dalle cittadine giunte in Parlamento per votare e decidere, ci si aspettano decisioni. Verbo sconosciuto o quasi, con dati scientifici alla mano del discorso politico di Grillo, particolarmente allergico, come suoi illustri predecessori, agli articoli della Costituzione. Come l’articolo 67, che recita:

Ogni membro del Parlamentorappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato

Madre di tutti gli inciuci, questo articolo spiega anche che se un presidente di partito intende pilotare da fuori il mandato dei parlamentari eletti nelle sue liste, non lo può fare e non può imporre a nessuno le dimissioni che non avrebbero alcun valore legale. Ma il Movimento Cinque Stelle non è un partito, è un brand, come se 8 milioni di persone alla Camera e 7 milioni al Senato avessero votato un gruppo di persone raggruppate sotto il logo della Coca Cola, del Barbera o della Mortadella Rossa.

Ecco perché la discussione in un Movimento che sta cambiando il modo stesso di vivere la politica è salutare, mentre le minacce, i pogrom diretti da lontano, sono metodi moderni di applicazione di schemi già visti a cavallo degli anni 20 tra Germania ed Italia. Senza entrare troppo nel dettagli di come uno degli ultimi discorsi di Grillo sia sembrato troppo simile a quello pronunciato da Adolf Hitler nel 1932, stiamo assistendo alla trasformazione di Grillo in Mangiafuoco.

Se chiamati ad uno ad uno, nessuno ( o quasi nessuno) dei grillini pensa di agire in malafede e crede davvero che la sua presenza lì serva a cambiare il paese. Per cambiare il paese, occorre votare, decidere, discutere, confrontarsi e, a volte, contrattare. Non si contrattano i propri principi, non si contratta ad esempio se di fronte all’appello della famiglia Borsellino di responsabilità si chiede una scelta di rottura, non si contratta nemmeno sul futuro della Repubblica, che sopravvive alle elezioni.

Casaleggio ha costruito un’ottima struttura, ma non vuole spiegare i suoi rapporti con alcune logge massoniche a Montecarlo che hanno lavorato da tempo sulla figura del “metapolitico”. Grillo è stato un portavoce, ma da guida saggia dei parlamentari duri come il legno, si sta trasformando in un padrone pronto a fare cenere dei suoi che politicamente hanno bisogno di crescere nella conoscenza della macchina statale, come “bambini” che esplorano il mondo.

A Grillo basterebbe creare un gruppo dirigente che segua le stesse regole generali del movimento, massimo due mandati, decisioni in tempo reale sul web e “uno vale uno”, sempre e comunque. La nomina del nipote come vice sembra instaurare la creazione di una nuova dinastia politica, in cui parole come democrazia orizzontale e diversità sono state spazzate via.