Recensione film: La madre

Andres Muschietti porta sul grande schermo un Horror di grande successo, capace di terrorizzare lo spettatore come solo le celebri pellicole del passato riuscivano a fare. Prodotto in spagna, questo lavoro segue schemi non più in uso in fil del suo genere e fa della “tradizione” il suo punto di forza.

Il film è ambientato nel 2007, anno in cui scoppiò la crisi economica che, tutt’ora, attanaglia molti paesi in tutto il mondo; crisi la quale, purtroppo, ha spinto tante persone disperate a compiere gesti estremi. E’ il caso di Jeffrey, fragile uomo reso folle dall’improvvisa ondata di povertà (abbattutasi su molte famiglie in quel periodo) che uccide i suoi colleghi di lavoro e la moglie. Totalmente privo di lucidità, rapisce le due figlie figlie (Victoria e Lilly) e fugge in macchina.

Dopo aver impattato contro un albero, Jeffrey è costretto a proseguire a piedi con le due bambine. Ad un certo punto, nota un casolare abbandonato in cui decide di rifugiarsi per uccidere le due figlie e completare il suo macabro e malato progetto. Tuttavia, proprio quando sta per compiere l’atto, una presenza spettrale si manifesta all’interno della struttura e, prima che lui tolga la vita alle bambine, lo assale uccidendolo. Cinque anni dopo, la guardia forestale Lucas (fratello di Jeffrey) ,si imbatte casualmente nel casolare e, con sua grande sorpresa, trova le sue due nipotine ancora vive. A seguito del tempo trascorso lontane da ogni forma di civiltà, le due piccole sono molto selvagge e sembrano aver rimosso ogni legame col mondo. Entrambe sono turbate da una inquietante presenza che vedono come una figura materna. A quanto pare, tale “entità” le avrebbe accudite in questi cinque lunghi anni. Inizialmente, scettico, il povero Lucas, insieme ad Annabel (sua fidanzata) e allo psichiatra Dreyfuss dovrà suo malgrado ricredersi …

Non sono l’ottima regia di Muschietti e la trama originale a costituire il punto di forza di quest’opera. La vera innovazione che ha reso questo film un successo è stata la volontà del regista di tornare alle “origini del genere Horror”. Egli, a differenza dei lavori odierni, ha deciso di indagare meno sulla psicologia dei vari personaggi. Allo spettatore, non interessa l’animo della vittima, bensì la teatralità del carnefice. Muschietti mette in pratica questo importante dato e valorizza grandemente la misteriosa presenza che terrorizza i protagonisti del film. Il pubblico non vuole improvvisarsi psicologo, ma essere spaventato. Negli Horror, l’unica vera figura che deve essere esaltata è l’antagonista, il mostro. Tutto il resto (anche se è brutto dirlo), è solo carne da macello.