Quanto sono importanti, quanto valgono e da dove arrivano i fondi alle imprese
In una sala povera di giornalisti, i più impegnati ad inseguire Grillo per cercare di rubare una foto o una battuta, il governo Monti, ancora in carica per i compiti di routine, ha presentato il pacchetto per lo sblocco in due anni di 40 dei 70 miliardi di euro che lo Stato deve alle aziende italiane. Una presentazione molto austera, con Mario Monti che ha sottolineato, in aperta polemica con le posizioni dei partiti maggiormente presenti in Parlamento, come le ricette di rigore non piacciono ma permettono di poter chiedere all’Unione Europea un aumento controllato del debito per ricette di sviluppo.
Ma quanto valgono per l’economia italiana queste misure? Dalle stime della Cgia di Mestre lo sblocco complessivo di queste risorse destinate alle piccole e medie imprese sbloccano qualcosa come 4,3 punti di PIL, quanto basta per rimettere in carreggiata l’Italia e far tornare la bilancia della crescita su un terreno positivo, riducendo il debito a “solo” il 125%
Non solo. Ma se un punto di Pil vale almeno 250.000 posti di lavoro, lo sblocco complessivo di queste risorse attiva un circuito virtuoso che può portare alla creazione di una quantità di posti di lavoro tali da abbattere di un paio di punti l’attuale tasso di disoccupazione, specialmente quella giovanile che ha raggiunto la cifra ufficiale del 35,3%
Le liberalizzazioni volute dal governo Monti hanno costruito un tesoretto di 5,7 miliardi da investire nella Pubblica Amministrazione, creando le premesse per un ammodernamento della burocrazia italiana auto-finanziato dalla politica di rigore.
Tramite l’accordo con l’Unione Europea sono stati sbloccati i pagamenti dei 7 miliardi previsti per le aziende a partire dal 2013, il governo dilazionerà la richiesta di pagamenti per le aziende che vantano crediti dallo Stato ma dal conteggio complessivo mancano ancora 30 miliardi, non esattamente bruscolini.
Più o meno la stessa cifra che potrebbe essere necessaria per la nuova manovra finanziaria di quest’anno, tenendo conto del tentativo di evitare un ulteriore aumento dell’IVA al 23%
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