Trattativa Stato-mafia, le intercettazioni con Napolitano vanno cancellate

La Consulta si è pronunciata a favore del Presidente della Repubblica, motivo per cui le telefonate intercettate tra l’ex ministro Nicola Mancino e Giorgio Napolitano, non potranno entrare nel processo sulla trattativa che intercorse tra la Repubblica Italiana e la mafia durante gli anni 90.

Un giudizio che era nell’aria e complica il lavoro dei magistrati palermitani, giustificato dalla Consulta che ha specificato come

non spettasse alla Procura di valutare la rilevanza delle intercettazioni né di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271 del codice di procedura penale. Pertanto, come richiesto dai legali che rappresentano il Quirinale, quelle intercettazioni vanno distrutte perché “lesive delle prerogative che la Costituzione attribuisce al capo dello Stato.

Il dubbio, più che fondato e lanciato dallo stesso pm Ingroia, si è rivelato suscettibile di una decisione che tendesse a tutelare la massima carica dello Stato, nonostante l’estrema delicatezza della vicenda. La storia su cosa accadde durante i primi anni ’90 è ormai nota, per chi se la fosse persa consigliamo l’attenta lettura del nostro approfondimento su cosa verte l’inchiesta della Procura di Palermo.

Dopo quattro ore di Camera di Consiglio, la decisione è stata resa nota alla stampa. Come si legge dal comunicato ufficiale,

La Corte costituzionale, in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3 comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti

Un procedimento del tutto indolore? Non proprio. La questione aveva provocato spaccature non indifferenti tra la Procura di Palermo e la stessa Procura di Caltanissetta, titolare delle inchieste sulle stragi, con più di un mal di pancia lasciato andare verso l’esterno. Anche la stampa italiana è stata divisa dalla richiesta, arrivando a creare un vero e proprio movimento d’opinione, paragonabile ad una sorta di partito trasversale, che si è schierato a favore dei pm di Palermo.

Nelle motivazioni presentate all’Avvocatura di Stato da parte della Procura di Palermo, la richiesta di prosecuzione nell’indagine è stata presentata molto duramente, arrivando a far notare che l’immunità, per casi così gravi, spetta solo ad un re e ad una monarchia, non al Presidente della Repubblica. Tesi sconfessata dalla magistratura, che lascia poco spazio per rivelare il contenuto di quelle telefonate.

Cosa sappiamo allora? Di sicuro, l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino si sentiva sotto pressione e ha chiesto tutela a Napolitano, dato che in quel periodo il servizio svolto per la Repubblica Italiana è stato di fondamentale importanza. L’eventuale pubblicazione delle intercettazioni avrebbe fatto scoprire all’opinione pubblica il ruolo di alcuni ministri nel coprire una trattativa fatta con gli assassini di Falcone e Borsellino per ragioni di Stato.

Le quattro telefonate al Capo dello Stato, indirettamente intercettate, sono state effettuate da Mancino nelle seguenti date: il 24 dicembre 2011 alle ore 9.40 (durata 3 minuti): il 31 dicembre 2011 alle ore 8.48 (durata 6 minuti); il 13 gennaio 2012 alle ore 12.52 (durata 4 minuti); il 6 febbraio 2012 alle ore 11.12 (durata 5 minuti), di pari passo con lo svolgimento delle indagini della Procura. Staremo a vedere se questo bloccherà il processo per scoprire la madre di tutti i segreti di Stato della prima Repubblica.